domenica 2 febbraio 2014

# Penna e Calamaio

Il mare che vorrei

Il concorso "Natale che storia" è terminato il 30 Gennaio 2014 e il mio racconto è in 41esima posizione su 266. Lo immaginavo, considerando il metodo con cui vengono scelti i vincitori e la pochissima pubblicità che mi sono fatta, ma non importa. Il bello è partecipare, l'eventuale vittoria sarebbe stata solo grasso che cola.
Ora che il concorso è terminato, mi sembra giusto, per amor di completezza, riportare qua il racconto in questione. 

Il mare che vorrei  

Aino si aggirava sola per l’Esplanade con passo lento e cadenzato. Rifletteva sulle facciate chiare e decorate dei palazzi e il cielo limpido sopra Helsinki, rifletteva come fosse la prima volta.

Osservava, come fosse la prima volta.


Le vetrine brillavano di rosso e argento, di Natale e inverno.
Era un dicembre strano, quello. Il porto non si era ghiacciato a dovere, i battelli navigavano adagio e sbuffavano calde colonne di vapore facendo ondeggiare l’aria e scaldando il becco dei gabbiani che volteggiavano alla ricerca di un po’ di tepore.
Dalla porta a vetri dell’antica pasticceria usciva un debole profumo di zucchero, cioccolato e vaniglia, caffè e cannella. Aino continuava a passeggiare con la calma e la grazia di una ballerina su un carillon, delicata sul marciapiede innevato, i suoi passi silenziosi e fluidi. Il ghiaino, con cui il comune cospargeva le strade della città per combattere il ghiaccio, le impediva di scivolare.
Un leggero brusìo di sottofondo le faceva compagnia. C’era poca gente in giro, alcuni alla ricerca di un regalo di Natale last minute, altri a caccia di prelibatezze con cui riempire la tavola per il pranzo del giorno successivo. 

Sembrava una capocchia di spillo, vista dall’alto. Un puntino nero in mezzo a bianchi palazzi Neo Rinascimentali e tutta quella neve che riempiva i tetti. Mani sprofondate nelle tasche del cappotto antracite, paraorecchie di pelo rigorosamente finto e sciarpa nepalese, Aino alitava sbuffi bianchi a ogni passo.
Quel giorno erano i dettagli a rapirla, non come sempre la visione d’insieme.


Un bambino usciva da Hesburger con un pacchetto di patatine in mano e un sorriso sfolgorante stampato su quel faccino da stronzetto. Occhi azzurri, naso rosso dal freddo.


O dalle lacrime? Deve aver pestato parecchio quei piccoli piedini, per ottenere le patatine, pensò.


Per un bambino è facile. Basta battere i pugni a terra, versare qualche lacrima posticcia, lasciarsi uscire una candela dal naso ed ecco che la magia è fatta.


Per me non è così semplice.


Più avanti una ragazza aspettava il tram numero 4. A giudicare da come saltellava da un piede all’altro, doveva avere molto freddo. Aino si chiese se il candore sulla punta delle sue Converse fosse la gomma tipica di quel modello, oppure neve. Le gettò uno sguardo di sfuggita e sorrise alla vista delle calze a righe colorate che andavano a scomparire sotto una stretta gonna di lana nera. Osservò la sciarpa lunghissima avvolta molte volte attorno al suo collo sottile e notò che le larghe righe colorate erano identiche a quelle che le fasciavano le gambe.


Che tipa simpatica dev’essere, è tutta colorata. Va in giro vestita come le piace, se ne frega del giudizio della gente, pensòLei dovrebbe essere fuori luogo in tutto questo bianco, perché invece non lo è?


Il 4 giunse in tempo a distrarla. Una signora grassoccia, avvolta in un piumino carta da zucchero scese a fatica i tre alti gradini del tram e per poco non capitombolò a terra. Aino ebbe un sussulto, pronta a soccorrerla, ma la ragazza arcobaleno la precedette e con agile mossa sorresse l’anziana donna che le donò un sincero sorriso di ringraziamento.


Che bel sorriso, pensò.
Dovremmo essere tutti in grado di sorridere così. Chissà come si fa?


Un brivido di freddo l’attraversò come una scossa elettrica. Aino si strinse nelle spalle e proseguì il cammino. La Piazza del Senato a quell’ora aveva qualcosa di melanconico. La statua dello Zar era completamente ricoperta di neve; lampioni, panchine, la gradinata che porta alla cattedrale, tutto bianco. S’intravedeva il turchese delle cupole, sotto la coltre, belle come sempre, stellate d’oro, come un mattino d’alba in una giornata estiva. Gli schiamazzi di due bambini attirarono la sua attenzione. Nei loro cappottini giocavano tirandosi palle di neve al centro della piazza, alla base della gradinata.


“Aino fa attenzione a non scivolare, per favore! Te lo ripeto per l’ultima volta!”


Un ragazzo gridò dal parcheggio dei Taxi in direzione dei bambini. Aino sorrise ancora, questa volta divertita da quella bambina scalmanata che portava il suo stesso nome. Si fermò ai piedi dello Zar Alessandro II e sfilò dalla tasca un pacchetto di Marlboro al mentolo. Con mani già ghiacciate ne portò una alle labbra e l’accese col suo Zippo anti vento.
Voleva vedere bene quella bambina.
La piccola peste, coperta fino alla punta del naso da un cappottino coloratissimo, correva in cerchio come una matta evitando le palle di neve del suo amico o forse fratellino e rideva. Rideva fortissimo. Aino si accorse che in quel momento, in quel preciso istante, nella Piazza c’erano solo loro quattro; lei, i due bambini e il ragazzo. Non passava nessuno, nemmeno un’auto, un tram, un taxi, niente. C’era solo il suono della neve sotto i loro piedi, la risata allegra della bambina e le grida di qualche gabbiano arrabbiato a causa del freddo. Fu un momento unico, memorabile, uno di quei momenti che vorresti non passassero mai; per un attimo s’illuse di far parte di quella famiglia, quand’ecco che la piccola canaglia ruzzolò a terra proprio di faccia.
Quello che Aino pensò essere suo padre, a passo svelto, raggiunse la figlia che intanto piangeva sommessamente. Dignitosamente.


“Aino! Ti avevo detto di fare attenzione! Non mi ascolti mai!”


La bambina alzò gli occhioni lucidi e guardò dritto in faccia il papà. Il suo sguardo era pieno di vergogna. Lui le tolse la neve dal naso e le sistemò la cuffia di lana sulla testa, il buffo pon-pon sobbalzò allegro, ignaro che sotto di lui una bambina stava trattenendo un pianto disperato. Non per il dolore, non si era fatta niente, ma per aver deluso suo padre.
L’Aino adulta inspirò una profonda boccata di fumo per esorcizzare i ricordi, ricacciò indietro una lacrima e continuò a camminare.


Arrivata al porto, istintivamente raggiunse la sua panchina preferita e trovandola libera si sedette a osservare il mare. Le mani sempre in tasca, lo sguardo gettato fin laggiù. Fino in fondo, fino a quelle onde che chissà dove stanno andando.


I pensieri in un cesto di vimini appeso ad una mongolfiera dell’Helsinki Sanomat.


Ci sono tante cose. Ci sono tante cose nella vita. Ci sono gli amori. E ci sono gli addii. Ci sono i sorrisi, i fiocchi di neve, le patatine, i papà, le lacrime, i tram, le calze colorate, l’aurora. Ci sono le navi, i gabbiani, le boe, le isole, i pasticcini, gli alberi di Natale e le bancarelle del mercato.


E poi c’è Lui.


Il Mare; questo mare che ribolle, che vortica dentro l’Anima e non mi lascerà mai più.

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