lunedì 3 febbraio 2014

# Penna e Calamaio

Una freccia nel cuore


Alcuni post del mio vecchio blog saranno ovviamente recuperati, come qualche scritto personale e l'etichetta Helsinki Kiitos. Sarebbe un peccato se venissero persi. Oggi riporto il racconto che mi ha fatto vincere il concorso FS e nel prossimo post, riporterò la breve intervista radiofonica che mi venne fatta all'epoca.

Ecco a voi... 


E’ la Freccia Rossa Milano – Bologna che ti ha portato da me.
La prima volta che ti ho vista.
Erano mesi che confessavamo tramite mail i nostri errori, le nostre gioie, i traguardi raggiunti nella vita e le cose preziose perse lungo il cammino. Mille confessioni su sogni e paure.
Sapevo che aspetto avevi, avevo visto il tuo viso in alcune fotografie e tu il mio. Sapevo che siamo così simili e nello stesso tempo così diverse.
Tu ami Trieste, io amo Helsinki, un amore diverso, incondizionato, proveniente da chissà quale recondito angolo del nostro cuore. Un amore per due città viste solo qualche volta. Due città che apparentemente niente hanno di noi. Le nostre vite così diverse, eppure così identiche nel modo di scegliere, di soffrire, di vedere al di là di ogni apparenza ingannevole.
Mi chiedo ancora da dove sia scaturita la totale fiducia in te, nel nostro rapporto. Mi chiedo come sia possibile che ti senta così forte dentro di me, quando è solo un anno che ci conosciamo. E’ difficile, quasi impossibile raccontare agli altri, quelli che mi vedono ogni giorno, ciò che sei per me. Non ci servono parole per comunicare e nemmeno la distanza, seppur poca, può tenerci lontane.
Il treno ha fatto sì che potessi portarti al mare d’inverno, a passeggiare sulla sabbia e a raccogliere conchiglie. Ricordo il tuo sorriso felice, mentre guardavi fuori dal finestrino con il Trudy che ti avevo regalato fra le mani, mentre lo smog delle grandi città svaniva alle nostre spalle.
Alcuni parlano di anime gemelle, di legami karmici, di totale empatia. Io non so quale sia il suo nome, ma è grazie a lei che tu ora fai parte della mia vita.
Il treno ci ha portato a un passo l’una dall’altra, ha fatto sì che potessimo guardarci negli occhi, potessimo abbracciarci.
Il treno ti ha permesso di mostrarmi Trieste. Dove risiede la tua anima, seduta accanto a quella di Joyce. Ci ha fatto sedere sul Molo Audace ogni mattina, io e te.
Io, te e il mare.
Io, te e Trieste.
Il cielo sfacciatamente rosa, la pioggia, la colazione insieme, il profumo del caffè appena macinato in Piazza Unità d’Italia, le stradine strette e antiche di Cavana, quel molo che altro nome non potrebbe avere se non Audace, tanto audace da gettarsi a capofitto al centro del golfo. 
Laggiù, fin là. In mezzo all’acqua, in mezzo al nulla.
Il treno mi ha permesso di essere presente alla tua Tesi da 110 e lode. Mi ha permesso di commuovermi come mai era successo prima. Mi ha permesso di essere fiera di te. Di ascoltare parole d’amore uscire dalla tua bocca e dal tuo vestitino rosa antico, parole per la Trieste del 1900, per la Trieste che è nel tuo cuore, dietro i tuoi occhi, attorcigliata alle corde della tua anima, come l’elogio di un’immagine sfocata.
La Trieste che è il nessun luogo, che c’è ma al contempo non c’è, come quella sedia vuota proprio di fronte a me.
Il treno mi ha permesso di vedere gli occhi lucidi di tua madre, la stretta di mano accademica di tuo padre. Tutta quella pioggia, quel giorno piangeva anche il cielo.
Il treno mi ha permesso di  vederti arrancare su tacchi Sex and The City troppo alti per te, grazie a lui ho potuto stringerti stretta la mano mentre piangevi col cuore accartocciato a causa di quella sedia vuota, mentre il trucco ti scivolava sgraziato lungo le guance.
Anche quella coroncina d’alloro non ne voleva sapere di starti sulla testa, ricordi? Una corona così deliziosa poggiata sui tuoi capelli da mani sbagliate.
Il treno mi permette di starti vicino, se qualcosa dovesse andare storto, se tu avessi bisogno di me ora, di notte, domani, quando ti manca un mio abbraccio.
Quando si ha una cosa così preziosa, la paura di perderla è enorme. Spezza il fiato, graffia dentro, lo so.
Vorrei riportarti ad Helsinki, dove risiede la mia di anima, avrei voglia di sedermi con te su quella panchina a guardare il porto in silenzio, contemplando il Baltico e basta. Con un sacchetto di piselli dolci in mano. Uno per me, uno per te, uno per il gabbiano Jonathan.
Tanto non ci sarebbe bisogno di dire niente.
“Perché sì, è vero, è sacrosanto: non c’è assolutamente alcun bisogno di parlare.
Lo so che non ti perderò mai, lo so. Sono solo momenti, frammenti di incertezza, acqua alla gola, dieci rose nere in braccio. Sono solo momenti ma poi, come sai, passa, poi passa subito, perché lo so che tu sei parte di me.
Lo so dal 16 ottobre o forse anche da un’altra Vita.”
Da quel 16 ottobre il tuo petto si è spalancato di fronte a me, mi hai mostrato il tuo cuore, nudo e crudo, con ogni sfumatura possibile, ogni deliziosa imperfezione, ogni meraviglia, ogni risata sincera, ogni orrore, incubo, terribile e straziante dolore.
Grazie a quel treno di un rosso sfolgorante sei entrata come una freccia nella mia vita, sorellina, e io ti voglio bene per ciò che sei.
Per questo non mi perderai mai. 

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